Rifugio Sudafricano. Anche recensione de In Patagonia di Bruce Chatwin
La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi. – Bruce Chatwin
C’è sempre frustrazione quando ti relazioni con qualcuno che non parla la tua lingua e sembra non faccia il minimo sforzo di cercare di capirti. In latinoamerica la frustrazione a volte mi faceva fumare perché sapevo che non parlavo arabo (ormai lo spagnolo lo parlavo relativamente bene) ma capitava, a volte, che la gente mi guardava come se stesse osservando un essere alieno con cinque teste. Avevo una gran voglia di scuoterli energicamente…dai cazzo!
Dopo un giorno di salite sterrate, lottando contro un forte vento contrario che soffiava NNE e dovendo pure razionare l’acqua ho fallito l’arrivo alla mia meta giornaliera prefissata. Alle 16:30 circa con il sole già in fase calante ma con un’ora d’anticipo sul tramonto appena ho visto uno spazio senza vegetazione a lato della strada mi sono fermato ad ispezionarlo. Ormai sfinito ho deciso che lì avrei passato la notte alla mercé di qualsiasi ladrone o balordo a quattro ruote (non che avessi visto più 4×4 delle dita della mia mano sinistra in tutto il giorno), leopardo o babbuino. Quando la misura è colma e l’energia al lumicino non si può continuare. Ho aspettato un’oretta per vedere se sia il vento che la mia sete diminuissero per montare la tenda.
L’indomani di buon mattino e di miglior umore sono ripartito e arrivato alla meta del giorno precedente: una grande proprietà con azienda agricola, e qualche chalet per turisti. Qui vive anche un famoso scultore che passa parte del suo tempo a Carrara.
Arrivo ed è tutto chiuso i proprietari non ci sono. Cerco del personale ma parlano solo Afrikaans. Ora non è che pretendo che tutti parlino inglese ma uno sforzo minimo per cercare di comunicare un minimo sì. Poi uno che mi fa capire: aspetta che chiamo qualcuno, torna dopo un quarto d’ora e non ti guarda nemmeno in faccia gli chiedi qualcosa e non ti risponde…va beh meglio prenderla con filosofia. Comunque, dopo estenuanti tentativi di comunicazione mi hanno passato il telefono con la proprietaria a cui ho chiarito che visto il mio mal di schiena e le previsioni di un tempo pessimo per l’indomani cercavo un angolo con un tetto dove poter piazzare la mia tenda. Siccome qui in Sudafrica si trattano bene nessuno riesce a capire che tetto sotto cui parcheggiano un trattore per me è oro colato quando prevedono raffiche di vento di 60kmh e 28mm di acqua ma la tipa mi ha detto che un tetto non c’era al più avrei potuto passare la notte in bagno e di seguire la sua dipendente. Un poco esisttante su cosa volesse dire, ho comunque seguito una tipa su una Land Rover che mi ha accompagnato fino al campeggio designato su una strada sabbiosa double track a circa 3km di distanza. Potevo rimanere qui senza dove pagare nessun obolo e potevo dormire nel bagno per ripararmi dagli elementi.
Il campeggio è molto bello anche se fuori stagione capisco che abbiano voluto piazzarmi lì quando io avrei preferito il capannone dove parcheggiano i trattori. È molto bello perché spartano: un pezzo di deserto di steppa arida senza piazzole designate ed elettricità. C’è però una piccola costruzione di paglia con due locali: bagno e doccia. Nel locale doccia c’è spazio per farci entrare in qualche modo la mia tenda. Che ho montato dopo avermi fatto una doccia calda (sembra strano ma c’è una caldaietta con una grossa bombola a gas, la cosa ancora più strana è che sono riuscito ad accendere la fiamma pilota). L’unico inconveniente è che l’acqua di pozzo è leggermente salata e dopo avermi fatto un’idea del sistema (acqua pompata dal pozzo a una grossa cisterna plastica issata su una struttura in legno a circa dieci metri d’altezza) ho deciso che la strategia migliore era bollire l’acqua ed evitare di usare il filtro onde evitare d’intasarlo con il sale. L’alternativa della Steripen non l’ho considerata faceva freddo avrei dovuto comunque scaldare qualcosa da mangiare.
Il mattino successivo è iniziato a diluviare e ben presto mi sono accorto che il locale dove avevo piazzato la tenda sarebbe diventato una piscina visto che filtrava acqua da sotto la porta e il pavimento in cemento non è certo drenante.
Per quanto impermeabili le tende hanno un nemico fortissimo: la pozzanghera. Anche pochi millilitri di pozzanghera possono allagare una tenda; la mia poi inizia a mostrare segni dell’usura ma d’altronde m’accompagna fedele da Panama e da queste tende leggere non ci si può aspettare che durino in eterno. Spero di poterla utilizzare almeno per tutto il continente Africano poi bisognerà pensare a un rimpiazzo.
In fretta ma senza furia ho riempito due borse di plastica con della sabbia sistemandole fuori dalla porta purtroppo nella parte interna non c’era spazio.
Salvato il salvabile il risultato è stato abbastanza buono anche se ai piedi il pavimento della tenda filtrava un po’ d’acqua/umidità.
Successivamente è stato un susseguirsi di lettura, bollire acqua per mangiare e dormire. Fortunatamente/sfortunatamente il cellulare non prende. Domani dopo la terza notte passata qui dovrei poter ripartire sperando la pioggia smetta.
Me ne andrò due libri più saggio circa.
Ho avuto modo di leggere ieri In Patagonia di Bruce Chatwin.
Sinceramente pensavo che il libro fosse più datato ma in effetti è stato scritto presumibilmente nella fine degli anni 70’ quindi presumo che il suo viaggio in Patagonia è in quella decade. Poi quando avrò una connessione al mondo parallelo controllerò (controllato: viaggio nel 1974 e pubblicazione nel 1977).
Il viaggio di Bruce è un viaggio di ricerca storica, di vecchie storie di familiari emigranti e viaggiatori, ricchi inglesi latifondisti e stranieri che hanno fatto della Patagonia la loro casa. Le cui storie s’intrecciano a doppio filo con rivoluzionari anarchici, marxisti, indios, generali, banditi gringos, missionari cattolici, gauchos, peones chiloeti e molti altri. Un viaggio erudito che mi ha fatto molto impressione per la quantità di nozioni storiche e letterarie di Bruce ma anche dalla meticolosità nel raccogliere le informazioni e l’intelligenza nel collegare diverse fonti. Penso che ci sia molta fantasia nel suo raccontare tutti questi aneddoti ma presumo solo per rendere piacevole le storie non per alterarne i fatti ma comunque c’è molto d’inventato e l’idea che ci si potrebbe fare è distorta. Ne risulta una Patagonia spogliata delle tradizioni e delle culture indigene come solo gli immigranti stranieri avessero portato la civiltà.
Ci sono alcune curiosità che leggendo il libro di Bruce mi sono state chiarite.
Primo la storia raccontatami da una famiglia di cicloviaggiatori Francesi: Julian e Marie. Una coppia che viaggia con la loro bellissima bambina Nina di tre anni che sono stati ospitati nella casa della mia famiglia Magallianica. A cena raccontarono che un francese era stato re della Patagonia.
Effettivamente pare che un francese in cerca di un regno abbia prelevato quasi tutti i soldi dal conto comune di famiglia avviandola verso la rovina e sia partito per la Patagonia dove ha convinto gli Indios Araucani ad eleggerlo re di Auracania e Patagonia ma in verità nessun governo né quello Cileno né quello Argentino presero sul serio la faccenda. Anche se qualche consolato ufficiale fu aperto in alcuni stati esotici come le Mauritius e certe altre isole nei Caraibi e forse in Nicaragua. Quando venne approcciato il Vaticano, Bruce riporta che un prelato cileno disse: “Questo regno esiste solo nella mente di idioti ubriachi”.
La seconda storia che Bruce ha narrato molto bene e di cui mi aveva parlato il Pache, Cileno di Villa O’Higgins che con sua moglie Paola mi ha ospitato per una decina di giorni in casa sua, è quella della Rivoluzione della Patagonia (anche conosciuta come Patagonia Tragica o Patagonia Ribelle) ovvero la ribellione anarchica del 1920 contro i proprietari di estancias. Bruce dice di esserne affascinato perché “questa rivoluzione in miniatura sembra spiegare la meccanica di ogni rivoluzione”.
La fine fu abbastanza tragica. Inizialmente il colonnello argentino al comando del decimo cavalleria inviato da Buenos Aires di riportare l’ordine in Patagonia aveva suscitato l’indignazione dei latifondisti stranieri con il suo programma di pacificazione che prevedeva condono e concessioni agli scioperanti. Ma quando il leader degli scioperanti sognò una rivoluzione socialista che dalla Patagonia dilagasse in tutto il paese, il colonnello capì di essersi reso ridicolo e dichiarò: “se ricominciano ritorno e lì ammazzo tutti”.
Così fu ma quello che non è ben chiaro è che i capi della rivoluzione riuscirono a scappare lasciando tutti i peones e chilioti a un destino assurdo. Non si capisce bene neanche perché l’esercito argentino fu talmente crudele da fare un bagno di sangue. Addirittura, agli ordini di latifondisti che dicevano voglio 30 peones (così Bruce definisce i lavoratori delle estancias/rivoluzionari) morti per ogni cavallo rubato. Ai rivoluzionari fu perfino imposto di scavare le proprie fosse.
Altra la storia dell’anarchico Simon Radowitzky che divenne uno dei prigionieri più importanti rinchiuso nel carcere di Ushuaia, Bruce inizia raccontandola così: “La storia degli anarchici è la conclusione finale dell’eterna antica disputa: fra Abele, il vagabondo, e Caino, l’accumulatore di beni. Dentro di me ho il sospetto che Abele abbia rimproverato aspramente Caino gridandogli: Morte alla borghesia!”.
Bruce è molto diretto e affilato nel giudicare le persone che incontra nel viaggio o nelle sue ricostruzioni storiche ma la forma è sempre arguta e piacevole da leggere, semplice e scorrevole. Ad esempio descrivendo tal Archie Tuffnel: “Non era intelligente, ma saggio“.
Il mio viaggio è più ignorante. Chissà che parole userebbe Bruce: non era né intelligente né saggio, un peone vagabondo a zonzo su una bici perché non aveva nient’altro di meglio da fare.
Mi piace sto Bruce non foss’altro per le storie interessanti dei banditi nordamericani del Mucchio Selvaggio fuggiti dal braccio lungo della legge rintanandosi in Patagonia: Butch Cassidy, Sundance Kid, la loro amante Etta Place e gli altri.
Per quanto riguarda la Patagonia, direi che In Patagonia c’è tanta vita e tante storie e tradizioni e cultura ma di tutto ciò nel libro non c’è traccia.
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