Attraversando l’Africa

Attraversare l’Africa, sarà probabilmente il momento clou della mia avventura su due ruote attraverso i continenti che formano questo pianeta.

Dopo aver attraversato le Americhe sono partito da Cape Point/Capo di Buon Speranza a sud di Città del Capo in Sudafrica per poi dirigermi presto verso zone poco popolate e selvagge fino alla Namibia. Ho continuato verso nord e arrivato all’Angola dove ho trascorso un pomeriggio da clandestino ho attraversando la Caprivi Strip, primo vero territorio abitato da leoni ed elefanti, iniziando a dirigermi verso est. Direzione che ho mantenuto attraverso lo Zambia per poi iniziare a salire verso nord in Malawi. In Tanzania ho fatto una gran deviazione per giungere a Dar es Salaam e da qui arrivare a Zanzibar, aimè de facto colonia italiana. Una volta visto (da lontano) le falde del Kilimangiaro ho virato verso il Ruanda non prima di una pausa di sei settimane per essere stato investito da una moto cross ad Arusha che segna geograficamente il centro tra Città del Capo e Il Cairo. Dal Ruanda sono entrato in Uganda dal confine con la Repubblica Democratica del Congo dove molte persone stavano morendo di Ebola. Da una delle zone più remote dell’Uganda sono passato in Kenya in una zona altrettanto remota e desertica. Per la verità dovete credere alla mia parola perché non c’è traccia del mio passaggio in Kenya nel mio passaporto. Ma non avrei potuto entrare in Etiopia dal Lago Turkana senza passare per il Kenya. Attraversato tutto d’un fiato l’Etiopia, non potevo apprezzare il Sudan e la sua gente ospitale, cordiale, onestà ed amichevole. L’Egitto invece vive di turismo, e di “sola” che rubacchiano da una truffa all’altra ce ne sono parecchi, il tutto sotto lo sguardo di poliziotti per niente professionali, puerili, ignoranti, burocrati, pigri ed inetti.

Al Cairo si è conclusa la mia Cape to Cairo epopea durata circa tredici mesi, nel mezzo 17.000Km circa, percorsi attraverso 17 paesi.

In verità è difficile per me esprimere a parole quello che è stato attraversare l’Africa: un’esperienza molto personale ed emozionale vissuta a pelle.

Sono arrivato in Africa scarico di energie dopo le Americhe, senza ben sapere cosa aspettarmi ne che cosa avrei incontrato. Non ero molto preparato ma anni di vita di strada insegnano che in qualche modo ce la si può cavare ovunque.

In Africa ho trovato la stessa umanità che ho trovato altrove, anche se qui il filtro del colore della pelle è palpabile nell’aria. Come bianco ho ricevuto trattamenti differenti subito a partire dal Sudafrica e della Namibia, a volte eccessivamente reverenziali altre volte ho dovuto pagare la “tassa” di essere bianco. Anche l’ospitalità incredibile di cui ho goduto nella comunità Afrikaans in questi due paesi penso si possa imputare largamente al fatto di essere bianco.

Sudafrica e Namibia vivono praticamente gli stessi problemi e sfide dopo la fine dell’apartheid ma la situazione in Sudafrica è veramente esplosiva non saprei che altra parola usare se non: un gran casino.

In effetti di Mandela ce n’è solo uno e tutto gli altri hanno difficolta a perdonare e dimenticare; senza contare la segregazione logistica dei paesi (quartiere bianco, nero, coloured e tre chiese distinte). Ma la vera Africa inizia nel nord della Namibia, su vicino al confine con l’Angola. È qui dallo Zambia fino in Kenia che ho smesso di essere Davide e semplicemente ero additato (letteralmente e verbalmente) come: muzungu, il bianco. Un nome con cui cercavano di attirare la mia attenzione migliaia di volte al giorno; urlato il più delle volte, sospirato poche ma sempre, costantemente, incessantemente: muzungu. Non mi sembrava vero quando arrivato in Etiopia ho smesso di essere muzungu e sono diventato faranji, rapidamente anche faranji ha iniziato a stancare.

In Africa ho compreso meglio il significato di “razzismo” al punto che anche attraverso diverse conversazioni avute lungo il mio cammino, ho potuto dare una nuova prospettiva alla mia esperienza nelle Americhe.

Ho trovato un continente ricchissimo anche in termini materiali il problema è che è stato saccheggiato per centinaia d’anni dalle politiche colonialiste principalmente da noi Europei. Purtroppo, il colonialismo continua ma adesso si chiama neocolonialismo. Questi meccanismi non solo hanno spogliato un intero continente della sua ricchezza e continuano a farlo ma allo stesso tempo hanno creato terreno fertile per una diffusione capillare della corruzione a livello politico e dirigenziale. Ricordo un ragazzo liberiano incontrato in Namibia che obiettando alla mia affermazione secondo cui la corruzione c’è in tutto il mondo disse: la differenza è che il politico o il dirigente in africa non vuole prendersi solo una fetta della torta, vuole tutta la torta e non vuole lasciare sul piatto nemmeno le briciole.

In questo clima s’inserisce il fiume di risorse prettamente finanziarie ma anche umane che arriva in Africa ogni anno attraverso la cooperazione internazionale. Sembra proprio che la gran parte di queste risorse vadano sprecate, da una parte sostenendo il carrozzone dei muzungu che ci lavorano e che ne hanno fatto una carriera (tutta gente che guadagna parecchio, non è una vocazione) dall’altra sostenendo il carrozzone dei politici ed enti locali che pure ci vivono allegramente.

Molte volte anche piccole ONG sono messe in piedi per sostenere lo stile di vita di chi ha deciso semplicemente di fare la bella vita in Africa. Attenzione a dove vanno a finire tutti questi soldi. Ci sono ad onor del vero molte realtà di gente genuina che si sbatte e che veramente fa la differenza come “in & out of the ghetto” con cui collaboro.

C’è una ricchezza oltre che di risorse, di umanità, di cultura e tradizioni che sono radicalmente diverse e differenti da quello a cui ero abituato ed è impossibile spesso trovarne una logica. Forse questa è una delle origini dell’espressione TIA this is Africa, questa è Africa. Purtroppo, anche qui i nostri missionari nel tempo hanno cercato di cambiare molti usi e costumi perché non gli sembravano consoni alla loro dottrina probabilmente facendo qualche danno.

Ho avuto spesso timore in Africa, un timore derivato dall’ignoranza, dalla non conoscenza. Timoroso sì ma non mi sono mai sentito in vero pericolo. Sicuramente l’Africa è molto meno violenta delle Americhe dove spesso mi sono dovuto guardare le spalle.

Anche le grandi città sono relativamente molto più tranquille delle metropoli americane. Dovessi ripartire oggi sarei certamente più tranquillo.

L’unico paese dove non penso di tornare è l’Etiopia. Qui la gente ha sviluppato un modo di porsi verso lo straniero che definirei quasi odioso. Molte persone diventano moleste elemosinando, tanti cercano di esserti amici puntando a questo o quel beneficio. I giovani non si fanno problemi ad accerchiarti tentando di strapparti cose dalla bici, ti prendono a sassate, o cercano di infilarti qualche bastone nelle ruote (letteramente) o addirittura sputi. Peccato perché è un paese bellissimo con molta gente squisita.

Alla fine dall’Africa mi porto con me una consapevolezza nuova, un sacco di emozioni ed esperienze vissute con le persone che hanno saputo accettarmi non come un intruso ma semplicemente come un viaggiatore, di chi ha voluto condividere come me frammenti di vita. Mi porto un puzzle di culture e di popoli diversi ma alla fine uomini e donne esattamente come lo sono io. La ricchezza e la diversità di un territorio da difendere e preservare prima che sia troppo tardi.

In questo continente Iascio molti nuovi amici che probabilmente non potrò rivedere facilmente e ancora una volta guardo triste il mio passaporto: mero simbolo del mio privilegio e dell’avidità umana che ha creato confini e muri invisibili che limitano la libertà della maggior parte delle persone rendendole schiave.

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